In memoria di Anna Escher Di Stefano

 

Ricordo di Anna Escher Di Stefano a cura di Francesco Coniglione

Si è spenta nella notte tra il 4 e 5 giugno la prof.ssa Anna Escher Di Stefano, docente di Storia della filosofia in questo Dipartimento per oltre trenta anni. Chi l’abbia conosciuta – studenti e colleghi – non può fare a meno di ricordarne l’umanità, la competenza e la passione che metteva nel proprio insegnamento, nonché la cura e l’attenzione umana sempre nutrite verso i suoi studenti e allievi.

La prof. Di Stefano ha intessuto con la filosofia un rapporto sempre viscerale, sin da quando, giovane studiosa, passava la notte sui libri, cercando di trovare un difficile equilibrio tra i doveri di madre e la passione per lo studio. Quando parlava di queste prime esperienze di lavoro scientifico e vita, non si poteva fare a meno di provare un senso di ammirazione ed invidia: forse oggi non si sarebbe in grado di affrontare simili sacrifici, che non potevano non avere contraccolpi sulla vita normale di ogni giorno. Perché la sua vita non è stata facile: non lo è stata negli affetti, non lo è stata sul piano professionale, non lo è stata come donna.

Per quanto riguarda la sua vita professionale non possiamo ignorare come il suo amore per la filosofia sia stato all’inizio tormentato e turbato da interferenze esterne che con la pura teoresi avevano poco a che fare, andando a incrinare il fragile equilibrio di una giovane studiosa che del proprio esser donna non voleva profittare per una più veloce carriera accademica. E così il lungo purgatorio del liceo fu preferito ad un’accademia che – a Catania, in quella particolare fase storica della filosofia istituzionalizzata – si rivelava poco sensibile verso l’intelligenza non pronta al facile ossequio e alla servile accondiscendenza. Ma il tempo del liceo fu una palestra fondamentale in cui non solo si irrobustirono e consolidarono le sue conoscenze di storia della filosofia (e ne sono testimonianza le opere a carattere prevalentemente didattico in quel tempo prodotte, come le Pagine di critica filosofica), ma si gettarono anche le basi di interessi filosofici che, allontanandola da quelli precedentemente coltivati, la porteranno in seguito a trovare nell’ermeneutica e nello storicismo un punto di approdo. Ha così dovuto farsi largo a fatica in un mondo spesso spietato e cinico con grande grinta, associata alle sue notevoli doti diplomatiche che però si nutrivano di sincera amicizia e vicinanza per le persone con cui ha intessuto stretti rapporti personali e di studio.

Per il secondo aspetto – quello degli affetti – non possiamo dimenticare la devastante esperienza della morte del figlio Enrico Escher nel 2009, bravo e apprezzato giornalista de “La Sicilia” e di emittenti televisive locali: da essa non si è mai ripresa; con essa ha perso la passione che ha sempre nutrito per lo studio e la ricerca scientifica e si è progressivamente chiusa in una solitaria esistenza che faceva a meno di quelle occasioni mondane e conviviali, spesso legate ad eventi scientifici ed accademici.

A chi è stato allievo e amico della prof.ssa Di Stefano resta la testimonianza e il ricordo non di un disincarnato pensiero – che può essere a pieno inteso solo da chi abbia la pazienza di leggere le sue opere – ma della persona in carne e ossa, con le sue appassionate discussioni, i suoi innamoramenti filosofici, le sue idiosincrasie come anche le antipatie. Con lei si aveva confronto sempre vivace, mai ipocrita, sincero e a volte anche duro, ma che insegnava molto e che faceva capire come la crescita scientifica e la maturità di pensiero si conquistino con diuturna fatica, con lo studio intenso, col sacrificio di più edonistiche soddisfazioni. Era difficile riuscire a porre freno, cercare di arginare tale prodigiosa ed incontenibile generosità, sicché a volte si provava un senso di inadeguatezza, di incapacità a corrispondere pienamente alla sua travolgente personalità, che era esigente e voleva tutti esigenti. Ma che a volte si mostrava anche fragile e necessaria di premurose attenzioni, dalle più banali (come nella gestione di tutte quelle incombenze burocratiche e organizzative per le quali ha sempre mostrato una inconcussa allergia), a quelle più significative e rilevanti: le incertezze, le esitazioni, i dubbi che anche lo studioso più coriaceo e navigato non può fare a meno di nutrire se con la filosofia ha intessuto un vero dialogo e non una occasionale chiacchiera da corridoi accademici.

Cospicuo il suo lascito scientifico, dalla sua iniziale monografia su Il pensiero di A. Schopenhauer (Cedam, Padova 1958), passando per l’interesse per il pensiero di Scheler (Max Scheler fra teoreticismo e dommatismo, Greco, Catania 1977; Il coraggio della verità. M. Scheler e la riflessione sull’uomo, Morano, Napoli 1991), quello di Chestov (ll sogno della verità nel pensiero di L. Chestov, Il Tripode, Napoli 1983) e arrivare infine all’opera sua più ambiziosa e cospicua, in cui ha voluto intrecciare, con una audace ipotesi storiografica, il percorso dello storicismo con quello dell’ermeneutica, che si è concretata in ponderosi volumi ed è rimasta non finita (Historismus e Ermeneutica, presentazione di F. Tessitore, premessa di G. Cantillo, ESI., Napoli 1997; Storicismo Spiritualismo Ermeneutica. Vol. I: Storicismo metodologico e storicismo speculativo, presentazione  di G. Giarrizzo, E.S.I., Napoli 1999; Storicismo spiritualismo ermeneutica, vol. II, Storicismo epistemologico e storicismo marxista, Presentazione di G. Galasso, ESI, Napoli 2003). E non citiamo qui la sua vasta produzioni di articoli e saggi.

In un mondo distratto e poco disposto ad onorare la propria memoria è necessario di tanto ravvivare il ricordo di chi ci ha preceduti e sulle cui orme molti hanno costruito la loro vita e la propria personalità. Resta un grande vuoto, almeno per chi l’ha continuata a frequentare dopo quell’esilio riservato a tutti gli accademici che perdono il proprio potere con l’andare in pensione. Per costoro, per chi l’ha conosciuta, stimata e apprezzata e ancora serba una viva memoria della sua persona, si è pensato di organizzare in questo Dipartimento un momento di riflessione e saluto, che avrà luogo

Lunedì 10 giugno, presso il plesso di p.zzo Ingrassia, alle ore 16, aula 1.

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Il senso della morte per alcuni può essere ristoratore. Per altri può essere una battaglia da vincere. Sono certo che Anna Escher Di Stefano questa battaglia l’abbia vinta, certamente sul piano ideale, avendola già combattuta in vita, affrontandola con la forza che le era intima compagna.

Questo brevissimo ricordo, pertanto non è un epitaffio. Anna non ne gradiva. Era repellente a qualsiasi forma che al centro non recasse sostanza.

Questa è stata la persona che ho conosciuto e frequentato, sin da quando misi il piede in un’altra università e in un altro modo di studiare e fare ricerca. Anna appartiene a quei ricordi. Non studiavo i suoi autori totemici, non ero vicino ai suoi interessi accademici. Ma il giorno seguente al quale ci siamo conosciuti, mi spinse letteralmente in aula a far lezione, così su due piedi. Al ritorno da un consiglio accademico, non volle continuare. Si sedette in prima fila ad ascoltare. Ho intuito chi era Anna da questo episodio. Fare la sua conoscenza era complementare a una sorta di pesatura. Per tale ragione fu sempre sollecitante, presente, a tratti incalzante. Ma nonostante la diversità dei caratteri, nonostante i molti anni che ci separavano, ci siamo sempre riconosciuti. Perché non amava le ipocrisie e gli infingimenti.

Ci siamo confrontati tantissime volte sulle cose della vita. Era poco indulgente, ma dolcissima. Con una caratura di donna trascinante, elegante, dirompente, era capace di spezzare ritmi consolidati e prassi riverenti. Chi desiderasse gettare uno sguardo sulla sua produzione accademica matura, può riferirsi alle considerazioni che ho scritto insieme a un dottorando del tempo, al momento del festeggiamento del suo pensionamento. Il file è in allegato.

Anna amava la sua persona, moltissimo. Sulle debolezze degli altri, talvolta in modo abbozzato, soleva sorvolare con un gesto avvolgente della mano. Ma era sempre sincera e diretta.

E’ stata un’accademica fuori dall’accademia. Non amava le carte, le incombenze amministrative, ciò che a suo modo le sottraesse tempo alle letture e agli affetti. Era a suo modo anticonformista. E contro il tempo ha lottato. Sempre.

Della vita amava la leggerezza attraverso la quale si possono godere i momenti lieti. Della medesima, abbracciava con intelligenza dolorosa i salti negli abissi dello sconforto. Da accademica e madre mi coinvolse in una delle ultime battaglie: le sono stato vicino, perché ho sempre avuto l’impressione che il suo dinamismo si risolvesse in una lotta imperiosa e coinvolgente, fatto anche delle lotte degli altri che aveva a cuore. Quella battaglia la perse due volte, rassegnandosi al “limite” di Heidegger che aveva compulsato più volte nei suoi scritti. E che mai più avrebbe voluto anticipare, perché toccato con mano.

Durante le nostre numerosissime trasferte in macchina o per convegni, Anna era compagna di viaggio, per tutti: inesauribile parlatrice, mai paga di tessere discussioni di ordine personale e scientifico. Era curiosissima, capace di spostare argomentazioni e discorsi verso altri piani. Ma Anna era anche “figlia”. Talvolta andava scherzosamente amministrata: si perdeva per palazzi o corridoi; non era fatta per gestire le informatizzazioni alle quali l’università si adeguava rapidamente. Si prendeva in giro per queste cose e per molto altro. Semplicemente, era gioiosamente disordinata.

E’ stato doloroso vedere la sua intelligenza, i suoi modi brillanti, energici, a tratti lesti e scontrosi, sciogliersi per poi dileguarsi. Così, la sottrazione della parola, del gesto li ha filosoficamente vissuti, interiorizzati. Poi, annegati nel silenzio. Con grande dignità.

Novant’anni sono una lunga meta. E di studenti ne ha avuto tantissimi. Molti di loro, e forse anche qualche collega, la ricorderanno per i suoi modi lesti, spicci, nervosi. Ma quando spiegava era ordinatissima, lucida, conseguente. Li voleva vicino, sapeva blandirli per aiutarli al meglio. In mezzo a quella platea calava le sue argomentazioni, cercando di avvicinarli alla filosofia. E questo è stato un enorme merito. Che ha certamente conseguito, perché viveva l’aula come un’agorà.

La speranza, per tutti e per ciascuno, è sempre che la terra sia lieve. Per Lei credo che questa speranza sia una certezza.

Salvo Vasta, Storia della filosofia contemporanea


Data di pubblicazione: 05/06/2024